mercoledì 11 maggio 2016

San Silviano

Durante la persecuzione degli Ariani fomentata dall’imperatore Valente e l’invasione dell’africa da parte dei vandali di Genserico  seguaci anch’essi di quell’eresia, Silviano, illustre in cartagine per integrità di vita, per profondo zelo religioso e per l’attaccamento alla fede ortodossa subì impavido incarcerazioni e tormenti.
 Dopo che, per divino volere, i persecutori ebbero tentato invano di suppliziarlo, lo misero sopra una nave “lacera et cariosa” insieme con il padre Eleuterio, la madre Silvia, la sorella Rufina ed il vescovo Castrense, sicuri che l’imbarcazione sarebbe in breve affondata.
 Ma protetta dal Signore, la nave approdò sulle coste della campania e gli scampati si recarono a Terracina.
 Qui non presero dimora entro le mura della città, ma si stabilirono ai piedi del monte di Ferocia (Leano), dove vissero in umiltà e preghiera. Ben presto la presenza di Silviano fu conosciuta in seguito ad una serie di miracoli da lui operati, e tutta la popolazione “viri cum mulieribus senes cum iunioribus” accorrono presso il Santo di cui baciano la vestigia.
 Era vescovo di Terracina in quel periodo un certo Giovanni e quando questo morì (443 ca.), il clero ed il popolo innalzarono al soglio episcopale Silviano che governò la Chiesa di Terracina soltanto per nove mesi.
 Alla sua morte fu eletto vescovo il padre Eleuterio che guidò i fedeli terracinesi per alcuni anni e morì in età molto avanzata.
 I corpi dei due santi furono seppelliti presso una chiesa dedicata al SS Salvatore, che successivamente assunse il titolo di San Silviano.
 In epoca imprecisata, ma che si può riferire al secolo X, il santo apparve più volte in sogno ad un giovane di Terracina di nome Giovanni, indicandogli il luogo della sua sepoltura ed invitandolo ad informare il vescovo.
 Poiché nonostante altre apparizioni Giovanni trascurò di eseguire l’incarico, Silviano apparve ad un cittadino di Gaeta, pure di nome Giovanni dandogli il medesimo incarico. 
 Dopo la morte di Costantino (340 ca.) ci fu un gran movimento di popoli barbari che, provenienti dall’oriente dell’Europa, cercavano di insediarsi disordinatamente nei territori occidentali.
 Si trattava della maggior parte di popolazioni germaniche divise in vari gruppi: Goti, Ostrogoti, Franchi, Alemanni, Burgundi, Longobardi e Vandali.
 Questi ultimi invasero la Gallia, dilagarono in Spagna e di qui passarono in Africa dove fondarono il regno dei Vandali il cui re e condottiero Genserico fu oltre che abile e valoroso, intollerante e crudele persecutore dei cattolici.
 Genserico creò in Africa settentrionale un grande stato con capitale Cartagine; successivamente passò in Italia e le sue orde approdarono in varie parti della costa, raggiungendo Roma che saccheggiarono e distruggendo tutto ciò che non potevano portare con loro.
 Le persecuzioni che i cattolici dovettero subire da parte di Genserico e dei suoi Vandali furono tremende, massacrarono e torturarono i cristiani il cui torto era quello di non appartenere alla religione ariana. La religione ariana era la dottrina dell’eretico Ario, condannata dai Concili di Nicea (325) e Costantinopoli (381) e professata dai popoli germanici.
 Ario negava la trinità di Dio e la divinità di Gesù Cristo.
 Sotto i successori di Gernserico (477-533) la potenza dei suoi Vandali decadde e il loro regno fu annientato da Bellisario nel 534. Questi si recò subito dal suo vescovo il quale immediatamente convocò il popolo. “Concurrunt illico ad rei famam omnis generis viri vicinarum urbium atque castrorum totius Caietae ducatus, commeatus et arma parantur, atque B. Silviani corpus auferre confidunt”. Ma il Santo, che voleva rimanere a Terracina, finalmente riesce a convincere il vescovo della città, il quale seguito da immensa moltitudine di popolo, si reca al luogo indicato, ritrova il corpo di Silviano con quelli di Silvia e di Rufina e, postili sopra un carro si affrettano a portarli a Terracina.
 Ma giunti in un luogo “qui hortus balnei dicitur” (ai quattro lampioni), s’incontrarono con la moltitudine armata dei Gaetani.
 Intorno alle sante reliquie sta per scoppiare un sanguinoso conflitto, quando per intervento divino, gli animi si placano, ed i Gaetani, essendosi convinti che il Santo vescovo aveva prescelto Terracina, dopo aver ottenuto dai Terracinesi un braccio di Silviano, lo portarono in patria dove anche oggi è venerato.
 La memoria e la venerazione di Terracina verso il San Silviano è tutt’ora sempre viva e profondamente radicata.
 Si ritiene che a farlo diventare protettore di campi in genere e di vigneti in particolare , sia stato il suo nome uguale o affine a quello di una divinità pagana campestre di nome Sylvanus.
 Il dio Sylvanus era la massima divinità terracinese, espressione della religiosità della realtà contadina della Valle.
 Era la divinità che doveva presiedere a tutti gli aspetti della vita contadina: la semina, il raccolto, la vendemmia.
Infatti un piccolo santuario a quel dio sorgeva sulle pendici sud-occidentali del monte sant’Angelo in località “la fossata” del quale si trovano ancora le sue rovine.
 Una tradizione quindi che dura da millenni e che vede trasformare il dio pagano Sylvanus in San Silviano a cui infatti è dedicata la chiesa nella Valle dei Santi.
 Comunque San Silviano è un Santo nel luogo fin dalla metà del secolo V quando venne citato nel Martirologio Geroliniano “…iuxta Terracinam in Campania natale Silvani Episcopi et confessorum…”
 Al IX secolo poi risale la prima citazione di una chiesa dedicata al Santo “…ecclesia beati Silviani in territorio terracinensi” (Codex Diplomaticus Caietanus).
 La venerazione per San Silviano da parte dei concittadini rimonta ad epoca remotissima, ed è stata grande sempre anche quella di tutta la popolazione.
 Nella cattedrale, sul prospetto anteriore dell’altare posto a sinistra di quello maggiore, vi è una lastra marmorea con su graffita la figura di San Silviano in mezzo a quella della madre Silvia e della sorella Rufina.
  Dal “Contatore”. Nel popolo di Terracina si ritiene comunemente che la lotta fra terracinesi e gaetani sia avvenuta per il possesso del corpo di San Cesareo.
 Avendo gli abitanti di Terracina afferrato un braccio e quelli di Gaeta l’altro, tira di qua e tira di là, il braccio tenuto dai terracinesi si sarebbe staccato e sarebbe rimasto loro, mentre i gaetani avrebbero portato via tutto il resto del corpo: la leggenda deve aver avuto origine dal fatto che fino a non molti anni fa nella festa del Santo si esponeva e si portava in processione, in luogo della statua che è moderna, solo un braccio d’argento del Patrono.
Il lavoro che deve risalire alla fine del secolo XVI, o al principio del successivo, è veramente interessante: bellissimi il volto e l’atteggiamento di Santa Rufina, delineata con tratti degni di un grande artista.
 Nel prospetto dell’altare di destra si trova altra analoga tavola, rappresentante un panorama stilizzato della città, benedetta dal Santo, con lo sfondo delle isole pontine.
 Una grande tempera monocromatica di Sebastiano Conca, il noto pittore di Gaeta, discepolo di Solimena, dipinta nell’absidiola della navata sinistra, rappresenta il Santo benedicente in atteggiamento maestoso
. Caratteristica è la processione che il 1° maggio al sorgere del sole, la statua del Santo partendo dalla Cattedrale viene portata alla chiesa campestre di San Silviano, posta a tre miglia dalla città, accompagnata da una folla di fedeli, agricoltori e viticoltori che lo invoca e lo festeggia.
 Ma la devozione per San Silviano ha varcato gli oceani; un gruppo di terracinesi emigrati anni fa in Uruguay e precisamente a Solis Grande (Montevideo), ha ivi formato la comunità di San Silviano elevandolo a protettore della cittadina e festeggiandolo come a Terracina ogni 1° maggio con processione e messa solenne, giochi attrazioni e gran ballo campestre.
 A San Silviano infine è stata anche dedicata una poesia dal nostro concittadino poeta e scrittore Gigi Nofi di cui si riporta un versetto:
Pe te Selviane mie, tanta gente, se batte an piette e prega angenucchiata, secure che chist’anne la gelata, se pure calerà nen farà gnente.
 Nota: il racconto della vita di San Silviano si basa, in gran parte su notizie tramandate per tradizione, e come afferma il De La Blanchére, nel riassumere il racconto fatto dal Contatore che esso è preso non si sa da dove, mentre lo storico terracinese riferisce esplicitamente di averlo tratto da alcuni manoscritti di un Gregorio vescovo di Terracina senza specificare se si tratti del Gregorio monaco cassinate, eletto vescovo da Pasquale II (sec. XI) o dell’altro vescovo Gregorio, vissuto nella prima metà del secolo XIII.
 L’Ughelli non conta ne Giovanni, ne Silviano, ne Eleuterio tra i vescovi sicuri; i martirologi dicono soltanto che sono vissuti in questa zona. L’attribuzione di Sylvanus o Sylvinus a Terracina ha per essa il Martirologio Romano che va sotto il nome di San Girolamo dove è detto che il 10 febbraio si celebra “ in Terracina natale San Siriani Episcopi et confessoris”.
 Resta assai incerta l’epoca in cui il Santo vescovo sarebbe vissuto, ma deve essere all’incirca quella delle invasioni barbariche.
 Più facile è congetturare come San Silviano sia diventato il patrono dei campi e delle vigne.
 Poiché nessun particolare della vita del Santo risulta legato alle attività agricole, è evidente che a farlo diventare protettore dei campi sia stato soltanto il suo nome, eguale od affine a quello della divinità campestre Sylvanus.

Contatore

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